Le gioie cromatiche di Alessia Pignatelli

Alessia Pignatelli è da un lato artista della gioia e della speranza, dall’altro le sue opere trasmettono intense emozioni a chi le osserva, quasi felicità cromatiche realizzate con una particolare tecnica e sapienza di accostamento dei colori e dei piani visivi. L’arte, infatti, dovrebbe forse dire esclusivamente la gioia e la speranza, dovrebbe ma non sempre ci riesce, immersa com’è nelle beghe della quotidianità, persa nel frammento e non nella verità, mentre, ci dice Alessia Pignatelli, la verità è nel tutto, nella capacità che l’artista ha di comprendere l’universo, attraverso sguardi ermeneutici totalizzanti. Vi è però anche la consapevolezza che vi sono altri principi emotivi e su questi le meditazioni cromatiche dell’artista insistono in modo esegetico, sempre nella consapevolezza, e questo discorso a me è particolarmente caro, che l’artista non può fermarsi all’analisi della realtà fenomenica come atomo opaco del male, regno del male e della sofferenza, anche se l’esperienza umana è sempre drammatica, tesa com’è tra la libertà e la singolarità. La drammaticità del vissuto è ancora più evidente quando la storia si fa guerra, terrore, morte, sopraffazione, ingiustizia, quando le ragioni della non-ragione hanno la meglio. Il principio disperazione non devono però prevalere nell’ermeneutica del divenire storico, perché -sono parole di Luis Cabrera de Cordoba- “colui che prende in considerazione attentamente la storia dei tempi antichi e ne conserva l’insegnamento, è illuminato sulle cose future, dal momento che esiste un unico genere umano”. Alessia Pignatelli osserva che c’è sempre qualcosa di profondo, quasi di metafisico nel dolore, perché esso, che sembra essere legato solo a livello del fenomeno che rientra nella quotidianità, porta invece nel suo intimo richiamo a verità fondamentali, spesso inosservate nel tempo della buona fortuna, un po’ perché, osserva Hugo Von Hofmannsthal nel libro degli amici del 1922, “la gioia richiede più abbandono, più coraggio che non il dolore. Abbandonarsi alla gioia significa appunto sfidare il buio, l’ignoto”, un po’ perché così si mettono a nudo le radici profonde di certe dimensioni esistenziali che altrimenti andrebbero disperse nell’euforia vitale, poco invitante alla meditazione. Ascoltate un insospettabile entronauta, Ludwig van Beethoven, che dice: “Noi, esseri limitati dallo spirito illimitato, siamo nati soltanto per la gioia e la sofferenza. E si potrebbe quasi dire che i più eminenti afferrano la gioia attraverso la sofferenza”. Un’euforia vitale, dunque, che, proprio alla luce di queste riflessioni, emerge in tutta la sua forza, quando l’artista è capace di futuro, il futuro come luogo della speranza, della rivincita, della bellezza. Questo essere capax, e mi si permetta di mutuare un pensiero già da me espresso in altra sede, è legato alla sua sensibilità, alla sua capacità di estroiettare nell’opera d’arte emozioni, sentimenti, valori, ansie, inquietudini, preoccupazioni, persino sorrisi metafisici ed abbracci ermeneutici. Non dimentichiamo mai le bellissime parole del Nietzsche di Umano, troppo umano: “Il mezzo migliore per cominciare bene ogni giornata è: svegliandosi pensare se non si possa in questa giornata procurare una gioia almeno a una persona. Se ciò potesse valere come un sostitutivo dell’abitudine religiosa della preghiera, il prossimo trarrebbe vantaggio da questo cambiamento.”, ed ecco allora le scie di luce e di colore, a mo’ di abbracci ermeneutici, ecco gli inni alla gioia, alla felicità ed alla speranza che Alessia Pignatelli effonde nel suo cammino artistico.

Massimo Pasqualone (Critico d’arte)